giovedì 17 settembre 2009

vitigni autoctoni o internazionali?

I vini sono nati nel Caucaso, allora perchè continuiamo sempre a domandarci: se è meglio recuperare un autoctono o piantare un internazionale?
L'importante,a mio parere, è mantenere la diversità e quella la si ha producendo anche quelli "piccoli", a rischio estinzione. In Liguria: il ciliegiolo, il bruciapagliai, la bianchetta, l'Ormeasco,ecc.ecc. In Piemonte (io che ho un debole per i bianchi) il timorasso. Walter Massa, Claudio Mariotto e poi ho assaggiato dalla botte quello della Cascina I carpini di Paolo Ghislandi, delizioso!
Piccolo, di qualità,evviva!

1 commento:

  1. I vitigni autoctoni, che siano minori o maggiori in termini di supoerfici vitate, danno sempre una grande soddisfazione a chi li trasforma in vino.

    Tendono a respingere talmente tanto l'omologazione che lo stesso vitigno allevato in zone diverse, seppur vicine, da uva con caratteristiche diverse.

    Per questo vale la pena, secondo me, farse anche delle CRU di questi vitigni ed io per esempio di Timorasso ne ho impiantate due cru.

    Gli internazionali sono vitigni robusti che si adattano bene a condizioni diverse, hanno caratteristiche tipiche riconoscibili e sono facilmente omologabili, un esempio sopra tutti il taglio bordolese.

    Dopo diverse esperienze fatte sono arrivato a pensare che non è tanto da considerare il confronto fra le varietà autoctone o internazionali quanto lo scopo con il quale vengono utilizzate.

    La barbera è un vitigno autoctono, tuttavia sappiamo bene che possiamo trovare barbera e barbera, l'una emozionante ed addirittura sorprendente, l'altra .... insignificante.

    Trovare un Timorasso deludente potrebbe essere impossibile, ma questo solo perchè chi è così temerario da volerlo lavorare, con tutte le attenzioni che necessita, con quel poco quantitativo che se ne riesce a fare, non riuscirebbe a farlo mediocre manco se volesse.

    Di contro ci sono ettolitri di "vino" da vitigno internazionale che non hanno un minimo di espressione del territorio, sono omologati e piatti, ma non possiamo dire che quando ci imbattiamo in una bottiglia straordinaria di Cabernet Sauvignon o di Merlot o di Syrah, questi vitigni non sappiano emozionare tanto quanto il vitigno autoctono.

    E' solo la corretta simbiosi fra territorio, vitigno e vignaiolo che fa grande il vino, indipendentemente dal vitigno che adopera.

    Concordo però sul fatto che è sempre un godimento poter incontrare qualcuno che lavora un uva che non fa nessuno o quasi, perchè vuol dire tante cose assieme, dal rispetto della tradizione alla salvaguardia del patrimonio varietale alla promozione di gusti nuovi e diversi.

    Ciao
    Paolo

    RispondiElimina